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Vestigia di uomini illustri

La chiesa di S. Bassiano conserva, come in un libro di storia,  testimonianze e rimandi a uomini illustri, di fama nazionale e internazionale. 

 

UN RE FRANCESE 

 

Il nome di Francesco I di Valois (1494-1547) è legato a Pizzighettone, dove il re francese rimase prigioniero per circa tre mesi. Era stato sconfitto da Carlo V, uno dei più grandi sovrani della storia moderna, nella storica battaglia di Pavia del 1525, scontro titanico tra la Francia e l’Impero Asburgico. Il re francese fatto prigioniero, scortato da 1200 archibugieri spagnoli, fu condotto nel castello di Pizzighettone, dove giunse in una notte di febbraio sotto una pioggia battente. Francesco I era prostrato per la disfatta subita. Fino ad allora occupato nella guerra e nella caccia, abituato ai piaceri  di una corte di cui era l’animatore, mal si adattava ad una severa e immobile prigionia. 
La malinconica solitudine del re fu alleviata dall’amicizia col parroco del paese Gian Giacomo Cipelli (1484-1541). 

 

 

 

Quando Francesco I arrivò a Pizzighettone nel 1525, Gian Giacomo aveva 41 anni, dieci anni in più del re francese. Il re conosceva la lingua italiana e ciò gli permise di creare un rapporto con questo prete, conversatore fine, uomo erudito, discendente da una ricca famiglia di feudatari. Tra i due nacque un’amicizia profonda tanto che, quando nel gennaio del 1526 Francesco I tornò libero a seguito del trattato di Madrid, sentì probabilmente nostalgia di quel parroco colto e amabile, che era riuscito ad offrirgli momenti di serenità e di conforto.

 

 

           

 

 

 

 

 

 

Lo chiamò quindi presso di sé conferendogli la dignità eccezionale di Elemosiniere privato e inviò alla parrocchiale di Pizzighettone ricchi doni, tra cui una spina della Corona di Cristo, proveniente dal tesoro della Sainte Chapelle di Parigi, e conservata in un tabernacolo della chiesa di S. Bassiano. Nella chiesa è visibile altresì lo stemma della famiglia dei Cipelli, formato da uno scudo con raffigurati tre cipelli, cioè zoccoli da mandriano,  in dialetto chiamati “supéi” .

 

UN GOVERNATORE SPAGNOLO


Dopo la sconfitta dei Francesi, in parte della Lombardia si insediarono gli Spagnoli. Nel 1566 venne nominato castellano di Pizzighettone lo spagnolo don Diego Salazar appartenente ad un illustre casato spagnolo di cui si può ammirare lo stemma nella parrocchiale. Durante la sua permanenza a Pizzighettone don Diego si comportò con equità, amministrò la giustizia secondo le leggi, beneficò il popolo e i religiosi. 
Uomo di spicco dell’amministrazione spagnola, percorse una brillante carriera al punto da essere elevato al supremo grado di Gran Cancelliere del Ducato milanese. Morì all’età di circa novant’anni a Milano, ma volle essere sepolto in una cappella della chiesa di S. Bassiano, che a suo tempo aveva voluto abbellire con altorilievi trecenteschi di pregiata fattura artistica che tuttora si possono ammirare. Con lui è sepolta la moglie, donna Francesca de Villel, come risulta dalla pagina datata gennaio 1633 del libro dei morti conservato nell’archivio parrocchiale.

 

 

 

UN SANTO DEI NOSTRI GIORNI

 

Pizzighettone ha dato i natali anche a un santo, S. Vincenzo Grossi (1845 -1917), canonizzato il 18 ottobre 2015 da Papa Francesco. Era una giornata nebbiosa quel 9 marzo 1845 quando Maddalena Capellini, sposata con Baldassare Grossi, dava alla luce il penultimo dei suoi dieci figli, Vincenzo. Egli trascorse l’infanzia aiutando i famigliari e solo a 19 anni poté entrare in seminario. Divenuto prete venne mandato in Gera, il quartiere di Pizzighettone sulla riva destra dell’Adda, con l’incarico di curare soprattutto la gioventù, cui dedicò il suo impegno sacerdotale per tutta la vita. Dai giovani si lasciava tranquillamente invadere la canonica e anche svuotare la dispensa, con grande disappunto della perpetua, che non riusciva a capire che queste feste parrocchiali erano un modo per tenerli lontani da compagnie e divertimenti pericolosi. Don Vincenzo era preoccupato in particolare della gioventù femminile dei paesi di campagna e delle periferie delle città e pensò di farsi aiutare, nell’opera di formazione delle giovani, dalle migliori ragazze che si erano affidate alla sua direzione spirituale.

 

 

Fondò così le Figlie dell’Oratorio, che dovevano essere a servizio della gioventù e lavorare in stretta collaborazione con i parroci; per abito dovevano avere un vestito semplice e senza velo per poter meglio avvicinare le ragazze. Don Vincenzo chiese loro di abitare in case in mezzo alla gente e di lavorare per potersi mantenere economicamente e non gravare sulle casse della parrocchia. Anche oggi le Figlie dell’Oratorio continuano la loro opera di apostolato.
Ciò che ha contraddistinto Don Vincenzo Grossi è sempre stata l’assoluta normalità della vita, l’assenza dei segni distintivi della santità “classica”, ma proprio per questo la Chiesa ha voluto canonizzare questo prete “straordinariamente ordinario”. Nella chiesa di S. Bassiano è conservato il fonte a cui è stato battezzato il santo.

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